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martedì 2 giugno 2020

Soave spavento

[Necessaria premessa: questo blog ha raccolto, fino ad ora, tutti gli scritti della mia adolescenza. Ormai è da tanto che non scrivo, cosa di cui non posso che dolermi... Mettere nero su bianco i miei pensieri, le mie emozioni, i miei colori, mi ha aiutato in un periodo della vita molto delicato, fatto di sogni, di aspettative, di illusioni. Lo scritto che segue è frutto proprio di questo periodo: l'ho ritrovato, su un pezzo di carta di quaderno, e ho deciso di riportarlo qui. All'epoca non riuscivo ad esprimere i miei sentimenti direttamente, preferivo tenerli per me, magari scrivendoli ma in una forma un po' criptica. Dalla fine dell'adolescenza, forse per reazione, mi comporto all'opposto! 

Questo è il racconto di un fugace momento, anzi, di ciò che mi attraversava la testa mentre ero con il ragazzo che amavo (non ricambiata, ovviamente!): quando eravamo insieme sembrava che ogni parola valesse oro, visto che che non riuscivamo a spiccicarne, ma anche questa per me era una magia!]

 

Soave spavento

 

Una via semideserta, il cui silenzio è rotto soltanto da auto solitarie che fuggono via, veloci, senza fermarsi. Da quella parte, un semaforo ripetitivo, un giallo lampeggia instancabile. E da questa, la balaustra e, al di là, il mare.

Un mare calmo, lievemente increspato da una leggera brezza che soffia nei capelli. Ci sono gabbiani? Che importa...

 

Gli occhi vanno in due direzioni diverse, al giallo del semaforo e al blu del mare. Silenzi che sono fatti di parole, emozioni palpabili; un tacere che è dire, ma è nello stesso tempo paura. E' come un'eternità, ma tutti sappiamo che finirà anche quella.

 

Il Sole è al tramonto, avvolge ogni cosa nella sua luce calda ma non abbagliante, e infine si perde nel mare. Non risuonano canzoni, solo lo scrosciare dell'acqua al di sotto e di tanto in tanto il rombare di un'auto. 

Non ci sono canzoni. Non possono esserci canzoni.

 

Le parole sembra quasi non si vogliano pronunciare, per questo sono appena sussurrate. Che cosa dicono? Che importa... 

Possono parlare di libri, di viaggi catalani, di teatro, di racconti letti e non letti, ma sono parole che restano sospese, mute di contro all'eloquenza del silenzio: una sorta di vezzo, consapevoli della loro sconfitta.

 

E il vento soffia più forte, scompiglia le negre chiome, pare incoraggiare.

Le altezze sono diverse, gli occhi non più. Ma non basta.

 

Frecce ormai scagliate lontano...

Possibile che non ne sia rimasta neanche una nella faretra?

 


domenica 29 gennaio 2012

Sono qui...

Tanti inverni verranno...
Oggi giochiamo leggiadramente
insieme, 
oppure baciami!
Esili nugae estive...

Sbagli nel ritenermi fredda, o distante... La verità è che ho una maledetta paura di risultare sgradita, inopportuna, mostrandoti quanto ci tengo a te. E per questo mi freno, e aspetto che faccia tu qualcosa.
La verità, forse, è che ho paura di soffrire ancora.
La verità è che, ieri, avevo una maledetta voglia di baciarti...

mercoledì 28 dicembre 2011

A river flows in you


Due anime che si sfiorano, sorridendo
con sussurri flebili e profondi, armoniosi
Voglio solo stare con te, in questa musica
Un caldo abbraccio nel nostro volo


Il suono del tuo cuore culla i miei pensieri
mentre mi accarezzi piano i capelli...
Le nostre mani si ritrovano giocose,
rincorrendosi per poi unirsi in un bacio.


Ci sei soltanto tu, ora, dentro di me
Mi hai preso l'anima in una poesia
struggente che non voglio mi lasci più.
Un desiderio inesauribile di te.


Stretta a lui, il suo viso sopra il mio
anelo alle sue labbra, sapore morbido...
Un turbinio di colori ad occhi chiusi
Sprofondo nella sua luminosa oscurità...







Attimi fuggenti

Voluttuosa, umida oscurità
indefinibile giocosa intesa...
Osare chiamarlo amore?
Romanticherie esitanti
conducono ognuno nelle
memorie esaltate.
Inesauribili note tremanti
esitano su armonie
dolci, impalpabili...
Attimi notturni
inebriano mie emozioni.



L'innocenza e l'insidia (una rilettura del "Faust" di Goethe)

"E chiedi ancora perché il tuo cuore
Ti si stringe pavido nel petto?
Perché un dolore che non sai spiegare
Ti soffoca ogni fremito di vita?
[…] Fuggine via! Via nel vasto mondo!"
(da "Faust" di Goethe)

"E che cos'erano poi tutti questi, erano tutti tormenti del passato! Tutto, anche il suo delitto, anche la condanna e la deportazione, gli sembrava adesso una specie di fatto esteriore, strano, quasi che non fosse capitato a lui. […] Non sapeva neanche che la nuova vita non l'avrebbe avuta gratuitamente, ma l'avrebbe dovuta pagare cara, pagarla con un futuro atto eroico…"
(da "Delitto e castigo" di Dostoevskij)

   Una vita intera nel rispetto delle leggi naturali e divine vale a riscattare il peccato commesso in passato? Può un sincero pentimento cancellare gli errori di gioventù che tanto male causarono? 
   Il mio nome è Fausto. E ora che la fine è vicina e mi volgo a guardare indietro, agli anni della mia giovinezza, i rimorsi mi assalgono e un velo di pianto mi offusca la vista. Vorrei poter dimenticare ogni cosa, affogare nell'oblio il doloroso ricordo di quegli anni. Ma non è possibile. La memoria di alcuni riceverebbe un torto se non raccontassi quello che successe, e dal mio silenzio alcuni trarrebbero ingiustamente vantaggio. Affiderò, pertanto, a queste pagine la mia storia: che restituiscano l'onore almeno della verità a chi – ah, me sventurato! – per causa mia perse se stesso, e che siano un monito per tutti quelli che hanno ricevuto dalla natura un'indole ingenua e piuttosto cedevole alle lusinghe.
   Frequentavo l'ultimo anno del liceo, l'anno della maturità, ed ero un ragazzo semplice ed onesto, tendente alquanto alla malinconia. Sovente mi perdevo in fantasticherie, estraniandomi dalla realtà e rimanendo per interminabili minuti con lo sguardo fisso nel vuoto. Per questo non avevo molti amici. Credo che la gente mi considerasse un tipo "strano", forse pure un po' lunatico.
   La letteratura era la mia grande passione, in particolare gli scrittori dell'Ottocento: i loro romanzi mi trasportavano in un'altra realtà, comunicandomi emozioni intense, e io insieme ai personaggi immortalati da quelle pagine gioivo, mi esaltavo, lottavo per la libertà, soffrivo finanche… Goethe era, ed è tuttora, il mio preferito, ma, per uno strana sensazione, che non capivo nemmeno io, allora non volli mai leggere il "Faust": il fatto che quella tragedia avesse il mio nome m'inquietava, mi trasmetteva un senso di sgomento. Era un pensiero assurdo, ma non volevo che in qualche modo la mia storia fosse già stata scritta. E invece avrei fatto bene a leggerlo… Forse certi errori li avrei evitati…
   Come ho già detto, avevo pochi amici. O meglio, solo due. Angelo, di nome e di fatto, era straordinariamente leale e giudizioso per la sua età, sempre a prodigarsi per gli altri ed intollerante dei prepotenti. Invece Walter, di origine tedesca, era un po' il mio "discepolo": ci conoscevamo dai tempi dell'infanzia, a lui parlavo con enfasi dei miei sogni, degli eroi che di volta in volta infiammavano il mio spirito con le loro gesta magnanime, dei miei pensieri sull'infinito, di quelli che io stesso definivo – non senza una punta di vanità – i miei "sentimenti sublimi". Walter restava ad ascoltarmi ammirato, guardava a me come ad un maestro. Aveva una natura piuttosto schiva, volenterosa più di lasciarsi guidare che d'imporsi agli altri, e così mi approvava e mi seguiva, silenzioso, in tutto quello che facevo.
   Tutti e tre frequentavamo la stessa classe: Walter ed io eravamo anche compagni di banco, seduti un po' in disparte dagli altri, mentre Angelo aveva un orizzonte di contatti e amicizie più ampio del nostro. Ma c'era un ragazzo per cui Angelo provava una forte antipatia, anzi, penso proprio che lo detestasse, e non a torto. Un animo tanto nobile e votato alla rettitudine come il suo non sarebbe mai stato compatibile con l'intelligenza perversa, tendente costantemente ad un "malo obietto", di Lucio. Questi, per le azioni discutibili, per i ragionamenti sottili e volutamente ambigui, ma dei quali si serviva come armi per persuadere gli altri e spingerli dalla sua parte, era addirittura soprannominato "Mefisto". E, visto che il nomignolo era a tal punto usato, tant'è che lo stesso Lucio mostrava di preferirlo al suo nome di battesimo, sarà così che lo chiamerò nel corso della narrazione.
   Dunque, tra Angelo e Mefisto correva un odio reciproco, reso in Mefisto tanto più aspro e rancoroso dal fatto che più volte il mio amico era riuscito ad avere la meglio su di lui grazie alla propria generosità e saldezza morale. Ma a Mefisto la vendetta fu offerta proprio da me e da Walter, dalla nostra ingenuità: quale migliore rivalsa su Angelo che diventare il confidente dei suoi due migliori amici, o anche soltanto di uno solo? Sarebbe stato assai facile per lui attirare due ragazzotti ingenui con le sue abili lusinghe, indurli a seguirlo e magari anche a prendere parte con lui a qualche impresa nefanda… Solo per dimostrare ad Angelo chi era il più forte. Sì, perché il fine di Mefisto – me ne resi conto solo molto tempo dopo – era l'esercizio del dominio sugli altri, il risucchio della loro volontà così da catturarne l'anima.
   Ed ecco che, un mattino, Mefisto si accompagnò a me nell'ultima parte del tragitto da casa mia a scuola.
– ­­Ciao Fausto! Bella giornata, oggi, eh?
– Una giornata come tante altre…
– Noto che stamane sei molto loquace! Dai, visto che sei solo, ti faccio compagnia io fino a scuola. Non abbiamo molte occasioni per parlare, noi due, vero?
   Non gli risposi.
– Beh, non sei dell'umore giusto per parlare. In ogni caso, se hai bisogno di qualcosa, magari di un consiglio, puoi contare su di me.
   Lunghi minuti di silenzio: ognuno procedeva immerso nei propri pensieri. Io, ignaro dei suoi loschi propositi, mi chiedevo il motivo della sua inusuale cortesia nei miei confronti.
   Poi Mefisto attaccò parola di nuovo:
– So che ami molto gli scrittori dell'Ottocento e i romanzi, ehm, come dire?, di grande respiro narrativo, dominati da figure eccezionali di uomini che non arretrano di fronte a nulla. Ecco, voglio porti una domanda: secondo te, che cosa rende un uomo grande?
   Rimasi per un attimo interdetto. Non mi aspettavo questo discorso da lui.
– Che cosa rende un uomo grande? Beh… non saprei… la generosità, l'impegno per la libertà, la lotta per un nobile intento, che vuoi che ti dica? Avere un obiettivo e cercare con ogni mezzo di raggiungerlo…
– In parte sì, ma c'è di più. Ora ascolta: ciò che distingue un grande uomo, un eroe, da un uomo qualsiasi è l'agire in maniera incondizionata, il non obbedire a nessuna legge imposta, ma solo alla propria volontà. Le leggi sono fatte per i deboli, non per gli eroi. Infatti, mi sai dire che cosa c'è di eccezionale nell'ubbidire, nell'abbassare la testa? Individui di tal sorta conducono una vita insignificante, e stai pur certo che nessuno ne conserverà la memoria dopo la loro morte. Non così l'eroe: nel bene o nel male il suo nome resterà per sempre, a lui si erigeranno statue, su di lui si scriveranno libri. Diventerà un modello a cui guardare con ammirazione, un esempio da emulare. Non vuoi tu, nel tuo piccolo, essere un grande? Cominciare davvero a vivere la tua vita, senza alcun impedimento, finalmente libero? La letteratura è una grande cosa, ma solo se spinge all'azione, non certo se induce a sogni oziosi e ad un placido abbandono all'inerzia. Pensaci. Ti offro la mia guida e la mia amicizia.
   Niente da dire. Il suo discorso mi aveva colpito, nella sua proposta c'era qualcosa di seducente. Mi sforzai di restare impassibile, ma ero ormai sull'orlo del precipizio. Cercai di non caderci, ma debolmente, come per un riflesso d'inerzia.
– Quello che dici non mi convince…
   Ci fermammo. Eravamo l'uno di fronte all'altro.
– Non ne sei convinto, e perché mai? L'hai detto pure tu prima, no? Avere un obiettivo e cercare con ogni mezzo di raggiungerlo. Non lo pensava forse anche Raskòl'nikov?
– Può darsi, ma in ogni caso Raskòl'nikov dovette pagare, e pesantemente, per il suo delitto…
– Sbagliò, certo, ma non per questo egli smette di essere grande. Resta grande anche nel suo castigo!
   Ormai sapevo che avrei ceduto. Lo sapevo fin dal suo discorso sugli eroi. Tuttavia mi ostinai nel silenzio, aspettando la sua prossima mossa.
   Mefisto dovette notare la mia indecisione. Piantò il suo freddo sguardo da inquisitore nei miei occhi e infierì:
   – Penso che tu abbia letto "Le notti bianche" di Dostoevskij. Ebbene, vuoi fare la fine del sognatore, dell'uomo che vive di illusioni? Ricordati che tutti i sogni, quelli brutti ma soprattutto quelli belli, alle prime luci del mattino svaniscono in lieve fumo, per lasciare il posto alla realtà, alla vita vera. Che non puoi rifiutarti di vivere.
   Era la stoccata decisiva! Ogni mia resistenza crollò.
– Hai ragione! Ho vissuto da eremita per tutto questo tempo. Ma ora voglio cambiare! Posso contare sul tuo aiuto?
– Sicuro! Allora, qua la mano! Amici?
   Afferrai la mano che mi tendeva.
– Amici!
*
   La mia vita cambiò radicalmente. Abbandonai i vecchi amici, Angelo e Walter, che avevano cercato inutilmente di dissuadermi dal frequentare Mefisto.
   Li delusi profondamente. Capii che si sentivano traditi, ma, pur rammaricandomene, non rimpiangevo la mia scelta.
   Per la prima volta non mi avvertivo inadeguato, ero al centro dell'attenzione, pieno di forza, intraprendente, con tanti amici nuovi. In una parola: vivevo! Davvero. E poi Mefisto mi aveva preso sotto la sua protezione, mi mostrava le cose belle della vita, dell'essere giovani, dell'avere diciotto anni. Nella mia riscoperta dell'istintualità mi sembrò perfino di essere ringiovanito: sì, perché ci si può sentire vecchi anche a diciotto anni. E infatti io, in qualche modo, vecchio lo ero stato: nel mio rifiuto del mondo, nella mia apatia, nell'isolamento in cui deliberatamente mi rintanavo, stanco di tutto e di tutti, come se ne avessi avuto già abbastanza.
   Ma ora aggredivo la vita, con Mefisto che approvava ed incoraggiava il mio edonismo, convincendomi che, così facendo, sarei stato ammirato per la mia determinazione nel voler soddisfare ogni piacere. Le sue parole mi gratificavano, sebbene ogni tanto avvertissi qualcosa  che scalpitava nella mia coscienza, una vocina che disperatamente cercava di spingermi al dubbio. Ma io ogni dubbio avevo deciso di metterlo a tacere.
   Un giorno, insieme a Mefisto, marinai la scuola. Non era la prima volta che lo facevo, spesso perché non studiavo. Invece quel giorno, pur sentendomi preparato, di andare a chiudermi in un'aula grigia proprio non mi andava: quale migliore invito a restare all'aperto di un tiepido sole primaverile? Andammo ai giardini pubblici, giusto per ingannare il tempo.
   Al ritorno, ci imbattemmo in una ragazza che, il capo chino e i libri sotto il braccio, camminava con l'aria di chi non vuol dare confidenza a nessuno. A modo suo, pur nella sua tranquilla scontrosità, mi sembrò attraente, ed i suoi occhi di un'insolita dolcezza. Decisi di prendere l'iniziativa.
– Ciao! Mi permetti di accompagnarti? Quei libri sembrano pesanti… Lascia che ne porti qualcuno io.
– Non ho bisogno di scorta, e sono abituata a portare ben altri pesi.
   Così detto, affrettò il passo e si allontanò.
– Che bella ragazza! – esclamai guardandola andare via, i lunghi capelli biondi scostati appena dal vento, – ma che caratterino! Ma sì, voglio proprio conoscerla!
– Ah, con quella le lusinghe sono inutili! – mi disse Mefisto, che si era tenuto  in disparte, – È una tutta casa-scuola-chiesa! Mi pare che si chiami Margherita…
– Dimmi come fare per conoscerla, per averla! Mi piace!
– Oh! L'allievo che supera il maestro! Adesso ti metti a fare anche il dongiovanni! Mi complimento con te! Tuttavia penso che sia un'impresa abbastanza ardua. In ogni caso andrà un po' per le lunghe. Ma, come dice il proverbio, "Chi la dura la vince"!
– Tu devi aiutarmi! Avvicina le sue amiche, cerca di capire che cosa le piace. Insomma, fa' qualcosa! Devo conoscerla! Lei deve essere mia! E al più presto!
– Va bene, va bene! Quanta foga! Si vede che ci hai proprio perso la testa!
*
   Pensavo sempre a Margherita, a quei suoi occhi di cerbiatto. Ma di lei non mi aveva colpito solo la dolcezza dello sguardo, mi affascinava anche quella riservatezza di modi, quella ritrosia istintiva che, già solo a prima vista, avevo intuito.
   Mi sentivo in grado di avere qualsiasi altra ragazza, con cui uscire e divertirmi senza andare troppo per le lunghe, ma io volevo lei. La sua innocenza mi tentava. Non avevo mai provato un'emozione simile. Sentivo dentro di me un'inquietudine che non riuscivo a spiegarmi, l'ansia ed uno strano sgomento mi attanagliavano.
   Attendevo con trepidazione notizie da Mefisto. Ma perché ci metteva così tanto? Mi sembrava quasi che godesse a tenermi sulle spine, come a sottolineare che dipendevo da lui…
   Ogni giorno che passava, la mia agitazione aumentava…
   Dopo una settimana di tormento, finalmente Mefisto mi mise a parte dei risultati che aveva ottenuto.
– Niente male, davvero! Siamo a buon punto! Allora, senti un po': la tua bella vive soltanto con la madre e la sorellina di un anno, perché i suoi sono separati e il padre è andato via da qualche tempo. La madre, da quando il marito l'ha lasciata, non è più la stessa… Margheritina deve badare tutto il pomeriggio alla piccola, alla quale vuole molto bene, e nel frattempo studiare. È ancora più pia di quanto pensassi! Va sempre a messa, recita la preghierina mattina e sera e quando passa accanto ad una chiesa si fa persino il segno della croce! Queste cose le ho sapute da una sua amica, Marta, una ragazza che è proprio il suo opposto: viva, esuberante, spigliata anche troppo. Le ho spiegato la tua situazione, e lei ha acconsentito a darci una mano. Domani preparati! Nel pomeriggio mi accompagnerai a casa di Marta, dove ci sarà anche la tua Margherita: mentre io tratterrò Marta con la scusa di doverle chiedere qualcosa d'importante, tu potrai parlare a quattr'occhi con lei. Quindi, mi raccomando! Sfodera tutta la tua "devozione" e mostrati il più possibile buono e generoso. Io ho fatto ciò che era in mio potere, adesso tocca a te!
– Non so che dire, Mefisto. Sei un amico!
   Illuso! Avrei poi deplorato amaramente di essere caduto nella trappola della sua "amicizia".
   Il giorno dopo non stavo più nella pelle, non vedevo l'ora che arrivassero le cinque del pomeriggio per poter finalmente incontrare Margherita. Restai inquieto per tutta la mattina; a scuola ero più distratto del solito, dietro il banco scalpitavo, per non parlare di dopo le lezioni…
   Insomma, quando alle cinque raggiunsi Mefisto per andare con lui a casa di Marta, mi sembrò davvero di aver aspettato per un tempo lunghissimo. Per tutto il cammino non riuscii a dire nemmeno una parola, tanto ero agitato.
   Marta abitava a non molta distanza dalla scuola, in una bella villa con un piccolo giardino tutt'intorno. Venne lei stessa ad aprirci: ci accolse con disinvoltura, come fossimo suoi vecchi amici, e nel chiudere la porta dietro di me mi strizzò pure l'occhio con un sorriso malizioso… Non c'era che dire: era veramente una ragazza di mondo e aveva capito tutto!
   Eccola, Margherita! Era seduta con in mano un libriccino, i lunghi capelli biondi che le incorniciavano il visetto assorto. Al nostro entrare, alzò la testa e, nel vedermi, assunse un'espressione stupita. Forse si ricordava di me…
   Marta, da buona padrona di casa, fece le presentazioni.
– Margherita, questi sono due miei amici, Lucio e Fausto. Scusami per un po', devo discutere di certe cose con Lucio. Puoi mettere da parte il tuo libro e fare compagnia a Fausto, nel frattempo? Noi cercheremo di sbrigarci quanto prima.
   Restammo soli. Era il mio momento.
– Ciao. Non è la prima volta che ci vediamo, non è vero? Forse tu non te ne rammenti, io invece sì. Da allora non ho smesso per un momento di pensare a te, al piccolo angelo che mi aveva folgorato. Avevi un'aria così timida e nello stesso tempo eri così incantevole…
– Sì, mi ricordo di te. Era la prima volta che qualcuno mi fermava per strada con fare tanto ardito… Pensavo che volessi scherzare con me, prendermi in giro… Per questo me ne stavo sulle mie…
– Perdonami, se ti offesi. Ti assicuro che non volevo. Nel vederti fui preso da una gioia purissima, che mai nella mia vita avevo provato. Scusami se ti parlo con tanta franchezza… Margherita, mi piacerebbe tanto essere tuo amico!
– Ammetto che, malgrado il tuo comportamento mi fosse apparso sfacciato, qualcosa si era già mosso dentro di me al nostro incontro…
Fausto, tu credi nel destino?
– Credo in quella forza che fa sì che tutto si volga al bene, che dopo il freddo dell'inverno fa piano piano rinascere la natura in un tripudio di fiori e di colori. Credo nella magia che fa camminare ognuno per una strada forse già segnata, che ci fa riconoscere al volo l'altra metà della nostra anima… Puoi chiamarlo destino, fato, incanto, la parola non si riempie mai del significato che vogliamo dare alle cose.
– Le tue parole, il suono della tua voce mi risultano familiari… Mi sembra di conoscerti da sempre, anche se è solo la seconda volta che ti vedo. Non so se riesci a capire quello che sento…
– Lo capisco, credimi, perché è quello che provo anch'io.
   Tenni le sue mani tra le mie, invaso da una dolcezza infinita, quando…
– Ehi, Fausto! È proprio ora di andare! Si è fatto tardi e non possiamo approfittare ancora a lungo della gentilezza di Marta!
   Un tempismo perfetto! Tipico di Mefisto!
– Beh, ho capito! Ciao, Marta! Arrivederci, Margherita!
*
   Cominciai a frequentare Margherita. Trascorrevamo molto tempo insieme, facevamo lunghe passeggiate mano nella mano. Era una ragazza così dolce ed ingenua! Spesso mi confidava, fiduciosa, i suoi sogni e le sue fantasticherie; mi raccontava anche della sorellina, con gli occhi che le brillavano: si capiva che le voleva un gran bene. La sua semplicità un po' infantile mi disarmava. Mi resi conto che la amavo molto.
   Non di rado mi parlava della sua fede religiosa. Si dispiaceva che chissà da quanto tempo io non andassi in chiesa – piccolo angelo! – e teneramente mi rimproverava. Non era capace di pensieri cattivi, aveva sempre una parola buona per tutti. Eccetto che per Mefisto. Per lui nutriva un'istintiva avversione e si rammaricava di vedermi spesso in sua compagnia. In particolare, non sopportava i suoi occhi di ghiaccio: asseriva che non sembravano di un ragazzo della nostra età. Cercai di rassicurarla e di farle cambiare idea sul mio amico, ma niente, lui le stava proprio antipatico!
*
   Mefisto mi invitò ad un festino che avrebbe dato a casa sua quel sabato. I suoi erano partiti, così avremmo potuto fare baldoria fino alla mattina successiva. Non ero mai stato a un certo genere di feste, ma Mefisto ci teneva che vi partecipassi, così accettai.
   Inaspettatamente Mefisto scoppiò a ridere e disse:
– Chissà che cosa direbbe il tuo vecchio amico Angelo se lo sapesse! Ah, mi raccomando: porta anche la tua scimmietta sabato!
– Non ti permetto di chiamarla così, Mefisto.
– Non mi sopporta, eh? L'ho sentita ieri che parlava con te: "Ha un certo non so che di inquietante, sembra che voglia farsi beffe di tutti e di tutto". Che ragazza noiosa! Scommetto che non vorrà venire!
– Basta! Lei sabato verrà con me! Ti dimostrerò che ti sbagli!
– Certo, certo! Staremo a vedere!
*
   Era incredibile il potere che quel diabolico ragazzo aveva su di me. Raccontai a Margherita  dell'invito di Mefisto. Lei non voleva, ma io dovevo convincerla. Ne andava della mia credibilità con Mefisto. Se non fosse venuta, che figura ci avrei fatto?
   La costrinsi ad accettare di raggiungermi a casa di Mefisto alle dieci e mezza di sera, visto che a quell'ora la madre era già a letto dopo aver preso il suo solito tranquillante.
   Le consigliai di fare finta di dormire e di uscire di nascosto una volta che la madre si fosse addormentata.
   Non voleva acconsentire, si ostinava a dire che le stavo proponendo qualcosa di sbagliato, di sconveniente. Ma alla fine riuscii a vincere le sue resistenze.
   Disse che lo avrebbe fatto solo per amor mio, quella fanciulla innocente!
   Tornai a casa soddisfatto di me, inconsapevole della tragedia che incombeva…
   Ah, che cosa avrei dato per poter tornare indietro e non aver mai accettato l' "amicizia" insidiosa di Mefisto!
*
   Margherita non venne a casa di Mefisto, ma io me ne accorsi solo alle undici. Dopo, preso dalla festa, mi dimenticai di lei. Fu una vera e propria notte di Valpurga, una festa di quelle che non avrei mai immaginato.
   La mattina, quando all'improvviso mi ricordai di Margherita, mi volli convincere che si fosse addormentata o che non avesse avuto animo di venire. Ma purtroppo mi sbagliavo…
   Era accaduta una disgrazia. Non avrei mai più rivisto Margherita.
   Sentii la gente che ne parlava. Non riuscivo a crederci, mi girava la testa. La sera precedente, lei aveva provato ad uscire di nascosto, per venire da me, ma la sorellina, che dormiva nella stessa camera, si era svegliata e aveva cominciato a piangere. Margherita, impaurita e frenetica, le aveva coperto la bocca con la mano, tenendogliela premuta contro con forza per non far sentire il suo pianto, ma la povera creatura era morta soffocata. Disperata, Margherita si era data la morte, ingoiando una quantità imprecisata dei tranquillanti della madre. Questa poi non aveva retto alla vista di entrambe le figlie morte ed era precipitata in una straziante follia; l'infelice donna avrebbe finito i suoi giorni rinchiusa in un ospedale psichiatrico, come venni a sapere molto tempo dopo.
" Sono un mostro!" pensai, affranto e sconvolto dal dolore. "è tutta colpa mia, sono un assassino!"
   Mefisto, accanto a me, rideva piano.
   Mi volsi, pazzo di rabbia, contro di lui.
– Demonio, lei era innocente ed ha pagato con la vita sua e con quella della sorella per le tue trame! Perché hai fatto tutto questo?
– Ti sbagli! Se credi che la colpa sia di qualcuno, è solo tua, e lo sai bene! Diciamo che la mia vendetta su Angelo l'ho ottenuta. Mi dispiace per la tua scimmietta, ma era una ragazza stupida e dai nervi fragili!
   Mi avventai su di lui. Avrei voluto ucciderlo, fargli quanto più male possibile, ma ci separarono. Qualcuno mi portò quasi di forza a casa. Ero in uno stato di delirio. Per parecchi giorni rimasi a casa, distrutto, annientato. "Margherita è morta. È morta. Ed è solo colpa mia": questo pensiero dominava la mia mente e mi toglieva la pace ed il sonno. Trascorsi così non so quanto tempo.
   Un giorno vennero a farmi visita Angelo e Walter. Erano mesi che non ci parlavamo. Non rivangarono nulla del nostro passato, né mi rimproverarono per quello che era successo, ma mi abbracciarono in silenzio. Sentii che mi avevano perdonato.
   Ero stato davvero uno stupido a fidarmi di Mefisto, e avevo commesso degli sbagli imperdonabili, costati delle vite. Ma sarei cambiato. La morte di Margherita non poteva scivolarmi addosso, per poi finire nel dimenticatoio.
   Promisi a me stesso che avrei fatto di tutto per dimostrarmi degno dell'amore e dell'affetto che quell'angelo aveva provato per me.

"Incendio di voluttà eterno,
laccio rovente d'amore,
dolore cocente del cuore.
Trapassatemi, frecce,
abbattetemi, lance,
sfracellatemi, clave,
saettatemi, lampi!
Che tutto ciò che è nulla
Si perda e si dilegui,
la stella fissa brilli,
nucleo di amore eterno."
            (da "Faust" di Goethe)