Questo è il racconto di un fugace momento,
anzi, di ciò che mi attraversava la testa mentre ero con il ragazzo che amavo
(non ricambiata, ovviamente!): quando eravamo insieme sembrava che ogni parola
valesse oro, visto che che non riuscivamo a spiccicarne, ma anche questa per me
era una magia!]
Soave spavento
Una via semideserta, il cui silenzio è rotto soltanto da auto solitarie che fuggono via, veloci, senza fermarsi. Da quella parte, un semaforo ripetitivo, un giallo lampeggia instancabile. E da questa, la balaustra e, al di là, il mare.
Un mare calmo, lievemente increspato da
una leggera brezza che soffia nei capelli. Ci sono gabbiani? Che importa...
Gli occhi vanno in due direzioni diverse, al giallo del semaforo e al blu del mare. Silenzi che sono fatti di parole, emozioni palpabili; un tacere che è dire, ma è nello stesso tempo paura. E' come un'eternità, ma tutti sappiamo che finirà anche quella.
Il Sole è al tramonto, avvolge ogni cosa nella sua luce calda ma non abbagliante, e infine si perde nel mare. Non risuonano canzoni, solo lo scrosciare dell'acqua al di sotto e di tanto in tanto il rombare di un'auto.
Non ci sono canzoni. Non possono esserci
canzoni.
Le parole sembra quasi non si vogliano
pronunciare, per questo sono appena sussurrate. Che cosa dicono? Che
importa...
Possono parlare di libri, di viaggi catalani, di teatro, di racconti letti e non letti, ma sono parole che restano sospese, mute di contro all'eloquenza del silenzio: una sorta di vezzo, consapevoli della loro sconfitta.
E il vento soffia più forte, scompiglia le
negre chiome, pare incoraggiare.
Le altezze sono diverse, gli occhi non
più. Ma non basta.
Frecce ormai scagliate lontano...
Possibile che non ne sia rimasta neanche una nella faretra?